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Dissociazione: una difesa della mente che diventa disfunzionale

2 Maggio 2024
Tempo di lettura: 5 minuti
Dissociazione: una difesa della mente che diventa disfunzionale

Quando si parla di esperienze psicologiche ci sono alcuni termini che vengono subito compresi e che sono entrati ormai nel gergo comune. Se una persona dice di essere depressa, ansiosa o avere attacchi di panico è piuttosto semplice capire cosa queste intendono perché tali esperienze sono facili da descrivere e sono comprensibili alla maggior parte della gente. Dissociazione invece risulta un termine piuttosto oscuro: chi ne soffre raramente ne parla e viene descritto in maniera molto differente da una persona all’altra. Può essere definita come l’esperienza di sentirsi fuori di sé, di non presenza,  di irrealtà che riguarda se stessi o il mondo circostante, di sentirsi in uno stato di shock o di apatia. È un fenomeno che non sempre viene indagato dai professionisti della salute mentale che si focalizzano piuttosto sui vissuti depressivi e di ansia comunque presenti, dato che sono maggiormente riconoscibili e vi sono molte terapie per il loro trattamento. Queste esperienze rischiano quindi di passare inosservate lasciando i soggetti che ne soffrono soli ad affrontarle e rendendo difficile ogni miglioramento terapeutico.

Cos’è la dissociazione?

La dissociazione è una difesa fisiologica della mente per fronteggiare situazioni stressanti estreme. Quando una persona è sottoposta a una situazione di stress molto intenso, se è ad esempio in pericolo di vita, il cervello mette in atto una disconnessione dalle emozioni e dalle sensazioni. Il fine è un aumento della probabilità di sopravvivere. Ad esempio questo stato di spegnimento consente a una persona che ha appena subito un incidente di chiamare i soccorsi, o di tollerare il dolore delle ferite. Un ulteriore esempio di come la dissociazione possa essere una difesa utile è il suo utilizzo in un ambiente familiare disfunzionale. Se in una famiglia un genitore minaccia e aggredisce i familiari , un bambino in tale situazione non può né ribellarsi, né fuggire, né rimanere in uno stato costante di minaccia. La soluzione che il cervello trova è di entrare in uno stato di spegnimento che risulta utile per tollerare una situazione altrimenti intollerabile.

Sintomi dissociativi possono essere più o meno intensi. Livelli bassi di dissociazione possono avvenire anche comunemente e sono vissuti dalla maggior parte delle persone. Viviamo dei temporanei sentimenti di distacco ad esempio quando guidando perdiamo la cognizione del tempo o ci perdiamo nella visione di un film. Non si tratta quindi di un fenomeno patologico in sé. Diventa disfunzionale quando l’attivazione di questo stato è pervasivo, si presenta in maniera intensa e causa una sofferenza marcata o una notevole compromissione del comportamento. Una persona che soffre di sintomi dissociativi patologici può ad esempio provare un senso di distacco e di apatia persistente nei confronti dei propri familiari o persone care mettendo poi a rischio il suo benessere e le sue relazioni. Livelli moderati di dissociazione si vivono anche nel contesto di disturbi psicologici più conosciuti, come nel disturbo da attacchi di panico, nel disturbo ossessivo compulsivo e nel disturbo bordeline di personalità.

Quali sono i sintomi fondamentali?

La dissociazione si compone di 5 sintomi fondamentali che in maniera diversa vengono universalmente sperimentati da chi è stato esposto a un trauma.

  • L’amnesia, cioè l’incapacità di ricordare uno specifico e significativo periodo di tempo trascorso. Viene descritta in termini di buchi di memoria o tempo perduto.
  • La depersonalizzazione, cioè una sensazione di distacco da se stessi o di “guardarsi da fuori”. Ci si può sentire separati da parti del proprio corpo o distaccati dalle proprie emozioni come robot o automi.
  • La derealizzazione, cioè una sensazione di distacco dall’ambiente o una sensazione per cui l’ambiente sembra irreale o estraneo, nella quale anche persone precedentemente familiari non appaiono più tali.
  • La confusione dell’identità, cioè una sensazione di perplessità o di incertezza su di sé, una continua lotta per definire se stessi, ad esempio la propria identità sessuale.
  • L’alterazione dell’identità, cioè un cambiamento del ruolo e dell’identità della persona visibile attraverso il comportamento osservabile. Ad esempio una persona può cambiare il suo tono di voce o usare un registro del linguaggio molto diverso dando l’idea di incontrare un soggetto completamente diverso rispetto a prima.

Diverse costellazioni di questi sintomi, più o meno intensi caratterizzano i diversi disturbi dissociativi che sono presenti nel DSM-5, uno dei principali sistemi di classificazione dei disturbi mentali.

Quali sono le cause dei disturbi dissociativi?

Tra le cause principali troviamo l’esposizione a gravi episodi traumatici o circostanze traumatiche che si protraggono nel tempo. Disturbi dissociativi possono essere causati da una singola esperienza in cui si è percepita la concreta possibilità di morire, come un grave incidente stradale o un’aggressione. Essere cresciuti in un ambiente familiare dove sono state subite violenze fisiche, psicologiche, grave trascuratezza o, in particolar modo abusi sessuali, porta a sviluppare disturbi dissociativi anche molto severi.

Anche l’esposizione molto prolungata a situazioni estenuanti può portare a sviluppare un uso della dissociazione pervasiva, come ad esempio lavorare 84 ore a settimana per 20 anni.

Meno traumatico è l’evento e più a lungo la persona deve esservi esposta per sviluppare un disturbo dissociativo.

Infine un’ulteriore causa dell’emergere di tali disturbi è l’effetto chimico di sostanze come marijuana o ketamina. Sintomi dissociativi persistenti possono emergere dopo un uso prolungato di queste sostanze o anche dopo alcuni utilizzi in persone geneticamente predisposte.

Trattamenti

Nel trattamento di questa categoria di disturbi risulta fondamentale costruire una forte relazione di fiducia, avere confini ben definiti nella terapia e rielaborare e integrare i vissuti traumatici del paziente. Vi sono diversi approcci che possono risultare utili.

La psicoterapia cognitivo comportamentale è una delle terapie indicate per trattare i disturbi dissociativi e si compone di diversi strumenti di seguito indicati.

  • la tecnica dell’esposizione sia in vivo che in immaginazione porta il paziente ad affrontare progressivamente ciò che lo attiva e a desensibilizzarsi progressivamente. Nelle ricerche si è rilevata uno degli strumenti efficaci per risolvere i sintomi dovuti ad episodi traumatici.
  • L’utilizzo di tecniche per la gestione dell’ansia aiuta il paziente ad affrontare i momenti più critici.
  • La ristrutturazione cognitiva aiuta il cliente ad individuare e mettere in dubbio le credenze disfunzionali che possono sia precedere che derivare dal trauma e che costituiscono un ulteriore ostacolo nel fronteggiare i sintomi dissociativi.
  • L’Attivazione comportamentale può essere descritta come il dedicarsi alle attività che prima facevano stare bene anche in assenza del desiderio di farlo. È una tecnica usata nel trattamento della depressione per rompere il circolo vizioso che si forma tra la mancanza di energia e interessi e la conseguente passività. Come per la depressione nei disturbi dissociativi si può abbandonare le attività precedentemente svolte perché l’anestesia emotiva che si prova non permette di viverle come piacevoli. Attivarsi può portare, anche solo di poco, ad aumentare l’entusiasmo derivante da quelle attività.

La terapia EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing)  si è rivelata negli anni un’efficace metodo per lavorare sui traumi. Questa tecnica pone il focus sulle esperienze traumatiche che hanno prodotto il disturbo e porta alla loro desensibilizzazione e integrazione. L’EMDR  si propone di riattivare una funzione integrativa innata del cervello che da sola rielaborerebbe i ricordi, funzione che nel corso degli episodi traumatici rimarrebbe bloccata dando origine a sintomi persistenti.

La DBT (Terapia Dialettico Comportamentale) può essere di aiuto per la gestione dei sintomi dissociativi attraverso varie tecniche proposte.

  • La Mindfulness, una forma di meditazione con cui si esercita la concentrazione nel momento presente, sviluppa una consapevolezza maggiore di sentimenti, sensazioni e pensieri.
  • Abilità di tolleranza della sofferenza, insieme all’esercizio della mindfulness, sono volte ad aumentare la capacità di tollerare la sofferenza derivante anche dagli stati dissociativi.
  • Strategie di regolazione delle emozioni aiutano il paziente a non cedere a ciò che i sintomi dissociativi indurrebbero a fare con urgenza.
  • Abilità di Efficacia interpersonale aiutano a praticare la comunicazione assertiva per gestire e disinnescare i conflitti con altre persone. Risultano utili specialmente con i familiari che spesso non riescono a comprendere i comportamenti di chi soffre di un disturbo dissociativo.

Frequentemente nel trattamento dei disturbi dissociativi viene utilizzata anche la farmacoterapia. Non c’è una categoria di farmaci che funziona sempre e spesso i miglioramenti sono lievi o moderati solo facendo più tentativi e provando diverse combinazioni. Molte delle alternative farmacologiche utilizzate puntano più a ridurre i sintomi derivanti dal disturbo più che il disturbo stesso. Chi soffre di disturbi dissociativi presenta sintomi depressivi, attacchi di panico e pensieri ossessivi. I farmaci dunque vengono somministrati per trattare questi sintomi secondari.

Bibliografia

Marlene Steinberg, Maxine Schnall, La dissociazione – I cinque sintomi fondamentali, Raffaello Cortina editore, 2006.

Neziroglu Fugen, Donnelly Katharine, Fuori da me. Superare il disturbo di depersonalizzazione, Erikson, 2016.

https://www.isst-d.org

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